domenica 24 aprile 2011

lunedì 14 dicembre 2009



Sembra Natale.
Piovono regali
sugli uomini d'Alta Fedeltà.
Sugli ultimi piove solo
Merda, come al solito.
Drighigno i denti
arroto la lama.
Chiedo l'ora
e mi dicono
che è comunque tardi.
Saro' vecchio
ma non rincoglionito.
Datemi una guerra stellare,
datemi un'odissea nello spazio.
Un telefono e una casa.
Doveva succedere proprio a me?
Atmosfera zero
mi circonda,
alieni dalla faccia conosciuta,
bussano alla mia finestra.
E io galleggio
nella mia Lattina d'alluminio
e non c'è nulla che possa fare ,
tranne sputare
sulle teste di cazzo
qui sotto.

sabato 31 ottobre 2009

Buuuuuh!


buono
a fare un cazzo.
svogliato e pigro
mi aggiro
nella tua vita.
parassita.
verme fetente
verme solitario.
tenia in viaggio di nozze.
scarabeo dal dorso
verde smeraldo.
oohh ohhh
era solo la prima volta ke ti vedevo.
e già ti amavo come un cane servile.
sbavo alle tue parole.
schiumo a quello ke dici

Acquazzone


Piove.
L'asfalto
è un dorso di foca.
Lampioni lontani
gialli e tremuli
occhi di orfanelli
che piangono.
L'ultimo zolfanello
senza ombrello
che prestato
l'ho a mio fratello.
Piove.
E il governo
stavolta non c'entra.
Mi aggiro
fradicio,
mi aggiro
fracico.
Smottamenti di emozioni
alluvioni
alluvioni.
persistenti nuvoloni.
Due coglioni!!

venerdì 30 ottobre 2009

Non lo so


Come ho fatto ad
arrivare fin qui?
ho scansato pericoli
e collassi.
Gli amici ti guardano
come fossi un reduce.
Ed infatti
dalla guerra sto tornando.
Cavalli di firisia,
cavalli di troia,
cavalli a dondolo
ho lasciato
solo per arrivare fin qui.
come ho fatto?
credo proprio di
non saperlo.
Quando il mare era agitato.
stavo sulla tolda,
imperterrito
a seguire l'onda.
prima le donne e i bambini
in caso di naufragio.
E pensare che non so nuotare.
E bombe
e granate
e siluri
come se piovesse.
Non ho mai
lasciato il timone.
Come sono arrivato fin qui?
Credo proprio di
non saperlo
.

Ero li


Prima ero lì
seduto alla
panchina.
vernice fresca
l'ho letto dopo.
vado verso casa
a ricordarsi la strada.
starnutire,starnutire
butta fuori
la solitudine.
Le campane suonavano
e io dovevo scegliere,
scegliere di nuovo.
Arriva di nuovo
e qualcosa dovrò dire.
quando i nostri sguardi
si incontreranno
qualcosa dovrò dire.
dovrò scegliere,
scegliere di nuovo.
Sempre stato in ritardo
faccio appena in tempo
a dirle
ehy
ciao ciao ciao.
Vago come
un nervo vago,
vaga,
l'incontrerò di nuovo
e qualcosa dovrò dire
e dovrò scegliere,
scegliere
di nuovo.

Lei



Lei,
sembrava così timida
ma è incontentabile.
Lei,
mi parla sempre
di luoghi che
non ho mai visitato.
Ed Io,
trascorro le notti
a cercare un perchè.
Credo di aver
bisogno di chiamare qualcuno,
ci fosse qualcuno da chiamare.
Gironzolo,
cercando
NON-SO-COSA.


Lei,
sembrava così
riservata.
Ma così difficile
da soddisfare.
Lei ,
mi parla troppo spesso,
di sogni,
che non ho mai fatto.
Ed Io,
passo il tempo a cercare di capire.


Io,
vedo le onde
fatte di lacrime,
andare via.
Credo ,avrei bisogno
di chiamare qualcuno.
Ci fosse qualcuno da chiamare.
Vado in giro
in cerca di
qualcosa.
Io
vado
gironzolo,
cercando qualcosa.

venerdì 18 settembre 2009

Canzone del venerdì nero



Perchè io
sarò la
(sono io?)
Io verrò la
(sono io?)
le cose sono sempre le stesse.
Io resterò la.
Io combatterò la.
le cose sono sempre uguali.
Lei arriva qui
poi se ne va.
Mai potuto sopportare.
per me è veramente troppo.
IIIIIIIIo ti sto dicendo,
dove mi piacerebbe essere
adesso
IIIIIo ti dico dove vorrei essere ,ora!
ossa spezzate
cuori infranti,
nessuno si gira
a vedere che succede.
Ti sto dicendo
che non voglio stare qua.
Ti sto dicendo dove
vorrei essere ora.
Lei mi guarda
una volta sola
sorride a metà
e poi va via.
Mai potuto sopportare.
per me è veramente troppo.
Perchè Io sarò la,
(sono io?)
Io sarò la
(sono io?)
le cose sono
sempre le stesse.
Io sarò la.
Io combatterò la
(sono io?)
le cose sono
sempre le stesse.
IIIIIIo ti sto dicendo
dove vorrei
essere adesso.

mercoledì 9 settembre 2009

La canzone di oggi

Sedute,
stanno le mie
giornate
a contemplare
il mare.
elettrici topi
corrono da
una pupilla
all'altra.
cani di pavlov
sbavano
per amore.
Il cuore
l'ho buttato
per strada
e un gatto
l'ha
mangiato
scambiandolo
per
polmone.
la ragione è la sua
che non conosce
differenza.
scatole
vuote,
riempiamole!
dispense deserte
riempiamole!
tavole imbandite
abbandoniamole!
I miei tendini
sono elastici
da ufficio.
il mio sorriso
è a metà
come la testa.
cerca,cerca,cerca.
corri,corri,corri.
aspetta,aspetta,aspetta.
il semaforo dice walk
le gambe dicono
stalk.
Questa è la canzone di oggi!
Questa è la canzone di oggi!

mercoledì 5 agosto 2009

SHOOTING STAR


Se le Stelle
brillassero
una sola volta
ogni cento anni
tutti gli uomini si
inchinerebbero.
E se poi a brillare
fosse
solo una,
si inchinerebbero
ancor più
profondamente.
Il cielo è così alto.
Le montagne così crudeli.
E la Terra così nuda!
Ma,
una montagna può crollare,
il cielo scomparire
e la terra
sottrarsi da sotto
i piedi.
Ma Tu, oh oh,
Tu sei,
Tu sei solo una stella
cadente.
Oh si,
Tu sei,
Tu sei solo una
stella cadente.

giovedì 23 luglio 2009

Tu


Perchè
proprio Tu?
Perchè
non un'altra?
Dio lo sa
che non avevo
chiesto nulla
del genere.
Perchè Io?
Perchè
non un altro?
Vivevo
tranquillo e pacifico
nel mio zoo.
E se bruciavo
facevo
quattro passi
nella fogna.
E invece ora,
quando la luna è piena
ululo
come un lupo
allupato.
Va bene.
Farò del mio meglio.
Perchè sei tu
che somministri
i test.
In fondo
è un posto
esilarante,
potrei anche diventare
buono.
Credimi.
Nessuna vera
bugia.
E' un regalo
da me
per te.
Perchè proprio Tu?
Giuro,
non ho mai chiesto
niente del genere.

Come mi vuoi


Perchè
io
non riesco
ad essere
come tu mi vuoi?
Le mie radici
sono marce
e mi dolgono
come denti cariati.
Sentimento canceroso.
Sempre combattuto
tra la dolcezza
dell'essere amato
e quella di ribellarmi
alla felicità.
Colpevole di
nonsopiùcosa
cone le zampe
imprigionate
nelle tagliole
che
io stesso
con cura
ho preparato.
Mi spingo
al largo.
Non so se torno.

Capitoni Coraggiosi


Cosa sono?
Coacervo
di nervi scoperti
esposti alle correnti.
Il Capitano
della
Nave Fantasma.
Vedi il
fazzoletto
che agito
all'orizzonte
come
un' ultima speranza
mentre
mi sorridi
ebete e serena
dal molo?
Il mare
è la voce
del mio cuore.

Let's get Lost (ascensore per il patibolo)


Perdiamoci!
Qualcosa di
dolce
ed inquietante da fare.
Porte che si
spalancano
nel vuoto
ascensori fermi
al piano
che non
c'è.
Perdiamoci!
Letti
e guanciali
d'ovatta
e sogni
gonfi e colorati.
Perdiamoci!
Allegramente
come un
bottone
per strada.

NY


Domani
diremo ciao ciao
a questo posto.
Diremo ciao
all'altezza ed
alla fretta,
diremo ciao
all'acciaio
ed al cristallo,
alle donne
che hanno
neon
per rossetto,
ai poveracci
in ritardo
anche
per l'ultimo bus,
seduti e stremati
al capolinea.
Alle Gemelle
scomparse
e agli idranti
e ai taxy gialli
diremo ciao.

sabato 27 giugno 2009

L'amore è un termosifone caldo








Mario era molto alto e magro. Le spalle uguali ai fianchi. Braccia lunghissime come il collo dal pomo d'adamo sporgente, alla cui sommità svettava una testa tonda. Nel complesso ricordava un giovane condor implume, a causa della precoce calvizie.
Mario non era matto, ma lo stesso era chiuso in manicomio. Non era matto, solo, non capiva le cose, ma a quei tempi non si faceva differenza e per questo lo avevano lasciato lì appena 
adolescente. Per il suo bene ,si intende. Come poteva vivere fuori uno che non capiva le cose?
Mario era un tipo tranquillo. 
Parlava pochissimo e ubbidiva subito e celermente ai semplici comandi degli inservienti. Questa sua docilità gli aveva permesso di rendersi utile nelle enormi 
cucine di acciaio rilucente dell' Istituto. Piccole commissioni, mettere a posto le cose, scaricare il camion delle derrate alimentari. Per ricompensarlo, gli addetti, ogni tanto, gli regalavano 
qualche dolcetto, una o due merendine, un panino fresco.
Mario non chiedeva mai niente, non chiedeva niente di più, nè avrebbe saputo immaginare qualcosa di più.
Un giorno di primavera , l'alba era appena sorta. Rosa com'era sembrava promettere dolcezza e serenità e Mario uscì nel grande giardino che circondava i padiglioni. Le sue scarpe da ginnastica, presto, divennero umide di erba e rugiada e si sentiva così felice ed in pace che il suo sorriso a metà sarebbe stato giudicato quasi bello, se ci fosse stato qualcuno ad osservarlo.
Mentre si aggirava, con le mani dietro la schiena, nel suo piccolo paradiso per poco non incespicò. Stava guardando in alto, le nuvole  gli ricordavano il cotone idrofilo delle iniezioni che gli facevano. Riportando lo sguardo alla terra, si accorse che l'ostacolo che stava per farlo cadere a faccia in giù, era  un piccolo micio bianco e nero, un gatto Silvestro dei cartoni che adorava.
Sfacciato e per nulla intimidito dall'altezza di quel corpo che torreggiava su di lui, il gatto emise un singolo "wha !" e poi stette seduto a guardare quello strano essere negli occhi ,come ad aspettare,fiducioso, una risposta.
"Bello gatto,bello gatto!" pensò Mario. Un pensiero semplice, ma quante emozioni!
Il gattino, sfacciato,cominciò una danza fatta di strusciamenti lungo le magre caviglie di Mario.
"Bello, bello gatto" . Mario lo carezzò dalla testa alla coda con le sue dita magre ed in risposta il gatto emise un altro paio di wha. " Bel gatto ha fame? Mario ti dà la pappa." .
E senza frapporre altro tempo prese il gatto tra le  mani e lo infilò sotto il maglione, dove il micio fiducioso rimase,finchè  arrivarono non visti, nella stanza bianca e dallo scarno 
arredamento che si riduceva ad un letto e un comodino ed a una figurina di Gesù, dove Mario trascorreva i suoi momenti di inattività, guardando il soffitto e cullandosi da solo sul letto dalla testata a sbarre di metallo color crema.
Passarono dei bellissimi giorni insieme. Tenerezze e latte rubato dalla cucina. Abbracci e leccatine sulla faccia. Pelo morbido e carezze ossute. Dormire insieme, abbracciati, che la stanzetta si colorava di verde smeraldo. Ma un wha di troppo li perse. 
Un infermiere,durante un controllo, scoprì bello gatto, acciambellato sul petto di Mario e cominciò ad urlare. Niente animali in manicomio! Togli 'sto sacco di pulci di qui!! Ora ci penso io!
E senza perdere tempo, prese con malagrazia, dalla pelle della nuca  il gatto, che aveva piantato le unghie nella maglietta e nella carne di Mario per non essere separato dalla sua mamma,  e si avviò verso la porta. 
Il quieto Mario si sollevò di scatto da letto. "NO, il gatto no, lascia il gatto!" e senza aggiungere altro colpì l'infermiere con le sue nocche sporgenti in piena faccia, facendogli sanguinare il naso, macchiando di rosso la poco pulita uniforme bianca.
Risultato, il gatto fu buttato fuori, Mario si prese un sacco di botte da un nutrito gruppetto di infermieri volenterosi, fu "attaccato" al letto e restò in isolamento per 2 mesi, con  
supplemento di farmaci che avrebbe steso un cavallo.
Mario, nonostante le medicine, pensava sempre a bello gatto e si sentiva così triste come gli avessero strappato il cuore a morsi. Le pareti della stanza tornarono verdino diarroico e il 
soffitto era solo un soffitto, niente nuvole in movimento.
Dopo qualche tempo l'isolamento finì, ma non il dolore. Non usciva più in giardino sapendo che bello gatto non ce lo avrebbe ritrovato.
Riprese a lavoricchiare in cucina, ma per la maggior parte del tempo si recava nella cappella dell'Istituto. Non a pregare ma a consolarsi. Nel silenzio della piccola chiesa si sentiva meno 
solo e contenuto, rassicurato. Fissava per ore il crocifisso sull'altare e in qualche modo si riconosceva in lui, inchiodato, sanguinante e solo. "Bello Gesù, povero Gesù, bello Gesù" era 
tutto quello che riusciva a pensare, ma quanta dolcezza e pietà per quel povero Cristo.
Un giorno, più solitario degli altri, Mario si avvicinò al crocifisso e cominciò a carezzarlo e baciarlo ed abbracciarlo."Bello gesù, povero Gesù".
Ebbe un'illuminazione. Corse in cucina e quando nessuno faceva caso a lui, cosa che succedeva spesso, sottrasse un grosso barattolo di Nutella e lo nascose sotto il maglione.Tornò alla cappella e, infilate due dita nel barattolo, pose sulle labbra della statua un pò di cioccolata. 
Mario si sentì subito contento. Prendersi cura di Gesù. Si, si... gli piaceva. "Bello Gesù!"
I problemi nacquero quando Mario si rese conto che di crocefissi era pieno l'istituto.
E gli altri piccoli Gesù? Mica poteva lasciarli digiuni! Ma quanti erano!!! "Belli Gesù!".
Di notte, si aggirò col suo barattolone e, per fare prima, staccava i crocifissi dal muro e li infilava a testa in giù nella cioccolata. Ci volle un bel pò a finire il giro di pappa, ma alla fine ogni piccolo Gesù ebbe la sua parte di coccole e Mario, stanco ma felice, tornò nella sua stanza a riposarsi.
La mattina, mentre dormiva, fuori dal suo latteo eremo,scoppiò un grosso casino.
Le suorine, che comandavano come sergenti maggiori il manicomio, notarono subito quello che era successo. Dapprima, dato il colore della sostanza spalmata sulla faccia del loro Gesù, pensarono ad un atto blasfemo che fece rizzare quei quattro peli annidati sotto le loro cape di pezza. Poi, 
un infermiere più coscienzioso degli altri, con un dito raccolse un pochino dell'oscena sostanza e portandosela al naso esclamò: "Ma non è merda! E' cioccolato!!". "Cioccolato?!?!", dissero in coro le suorine con una mano sulla bocca aperta dalla sorpresa e l'altra sul cuore acceso e molto offeso. Dopo brevi indagini, entrando nella stanza di Mario,fu facile individuare il responsabile. 
Aveva ancora la Nutella sul comodino e dormiva abbracciato ad un crocifisso. Le suorine uscirono dalla stanza dopo aver dato ordini precisi. Dopo un pò di botte, Mario fu di nuovo legato al letto e messo in isolamento per tre mesi. Scherza con i fanti ma....
Purtroppo Mario di proverbi non sapeva nulla.
Arrivò l'inverno, gelido e spietato. Mario,finito l'isolamento, usciva poco dalla sua stanza e solo per rendersi utile in cucina. Le cuoche cicciotte gli volevano bene. Oddio, bene...
Fosse stato in grado di pensare meglio, Mario avrebbe potuto chiedersi come mai tutte le cuoche fossero obese e farsi venire qualche sospetto come quelli che turbavano le suore, che chiudevano un occhio sul cibo che spariva. Anche loro avevano le loro marachelle da coprire. Le cuoche, dunque, gli volevano bene. oddio, bene...
Lo tolleravano per la sua ingenuità e laconicità e perchè era sempre disponibile a sollevare pesi al posto loro e a svolgere altre incombenze, che  loro non gradivano troppo.
L'inverno si aggirava come uno spettro di merluzzo congelato per i corridoi del manicomio.
Il riscaldamento non era sempre in funzione, ma veniva acceso (nelle stanze dei ricoverati,si capisce), per poche ore al giorno. La stanza di Mario era gelida come le altre. 
"Mò è che è la Siberia umana?!", diceva spesso un altro ricoverato e la coperta militare sul suo letto scaldava poco e male. Mario dormiva in posizione fetale, quasi a trattenere il calore, 
scaldandosi da solo.
Si sentiva ghiacciato anche dentro. Senza uno scopo. Senza nessuno di cui prendersi cura. 
Nemmeno di se stesso. Le poche ora in cui il riscaldamento era in funzione le passava abbracciato al radiatore. Il termosifone gli voleva bene, lo scaldava dentro e fuori e lui voleva bene al termosifone, grato dell'affetto che gli dimostrava. Riusciva a sentire, durante quei momenti, una fiammella sottile illuminargli il cuore e l'anima. Come un lampione nella nebbia. 
Come una scintilla rossa nella grotta oscura. "Bello termosifone! Bello!"
Come ricambiare quest'affetto? Mario ci pensò su per giorni, si fa per dire.
Poi un giorno sottrasse un cartone pieno di brick da litro di latte dalla cucina.
Tornato nella stanza, aspettò l'ora in cui il calorifero entrò in funzione e, con dolcezza e premura, versò tutto il litro lungo le scalanature grigie. Ma si rese conto che di caloriferi nell'istituto ce n'erano un sacco e mica poteva lasciarli digiuni! Silenzioso come l'ombra di un 
ombra, si aggirò per i  lunghi corridoi. La sua sagoma si stagliava ancora più magra e lunga sulle pareti e scivolava con lui, mentre nutriva tutti i termosifoni che incontrava sulla sua strada. Il latte colava lento e denso, per finire sul nero linoleum dove formava delle pozze bianche d'amore. Mario era così contento! " Belli termosifoni!". Naturalmente, la mattina dopo, gli 
inservienti, nulla sapendo dell'amore e del prendersi cura di qualcuno, erano davvero incazzati neri. Fu facile capire chi fosse il responsabile di quell'atto vandalico. Bastò loro seguire la scia 
bianca al contrario per arrivare alla stanza di Mario. Naturalmente giù botte, giù iniezioni, giù legato al letto in isolamento. Per mesi. Mario smise di voler bene e di provare affetto per 
chiunque. Restò confinato nella sua stanza per anni. Guardava solo il soffitto tutto il tempo, senza pensare a nulla. Senza provare nulla. Senza sentire nulla. Senza amare nulla, neanche sé. 


Quando dieci anni dopo ci incontrammo e riuscii a farlo uscire dal manicomio, ebbi il mio bel daffare per convincerlo che il matto non era lui.

mercoledì 10 giugno 2009

blues del fucile che scotta


furtivo.
silente.
mi aggiro
per le strade della tua
città.
ho un fucile
a tenermi compagnia
e certo
non lo porto
perchè è
alla moda.
attenta.
potrei entrare nel
tuo giardino
e farti vedere
cos'è un uomo.
bestia
selvaggia
e unghiuta.
il mio riso da jena,
potrebbe farti male,
chè ho venduto il
cuore,
per comparlo
e adesso qualcosa
ci devo fare.
mi aggiro lupesco,
di greggi ho bisogno.
affondare
i canini in qualcosa di morbido
come il tuo cuore,
per sentirmi pacificato.
denti
e pelo
macchiato di sangue.
corri,
fuggi,
va!
tanto l'odore che lasci
è un'umida
traccia
per il
mio
tristerimmo
olfatto.

sabato 6 giugno 2009


ah
me ne stavo buono buono
raggomitolato
come un pigro ghiro.
perchè bussare alla
mia porta?
perchè suonare
al mio
campanello?
non c' è nessuno
e non è vero.
io ci sono.
solo per un quarto,
però.
non accetto volantini
pubblicitari.
o testimoni di genova.
con tanti
bottoni
dovevi suonare
proprio qui?
faccio finta di nulla.
mi giro
dall'altra parte.
dormo sempre
sul fianco sinistro.
no,
non a me.
ma il citofono
è peggio di una sirena.
ma il citofono è peggio
di un allarme aereo.
torno
a dormire,
non era qui.

finta di niente


va bene.
faccio finta di niente.
faccio finta che
il lezzo
non arrivi fin qui.
bevo dal teschio
di mio padre.
mi distraggo,
rido e scherzo.
sottile
una incisiva
inquietudine
mi attanaglia
lo stomaco
che niente riesco
ad ingoiare.
mi aggiro
furtivo
nei vostri sogni,
brutti come voi.
non ci sono già più,
non contate su di me,
non ci sono già
più.
seduto od
in piedi
la differenza si vede.
mi trovate
a fort alamo
a sparare
le ultime cartucce.
sparare
solo quando vedi
il bianco degli
occhi
dei pesci.
ma,
non ci sono già più,
non contate su di me,
non ci sono già
più.

giovedì 4 giugno 2009


spremuto.
seccato.
avvizzito.
a chi serve un
limone spremuto?
prendo le distanze
e le distanze
sorpassano me.
odori di fiori morti
torturano
il mio fine olfatto.
verdura scaduta.
pesce marcio.
questa terra odora
di andato.
e io qui
seduto
lontano
da dio
e dagli dei.
ricordi
di quando ero bambino.
strade intere
che odoravano
malamente di formaggio.
stagionato.
non
come me
carne fresca e
impudica.
a stento ricordo
l'odore stantio
del suo ombellico.
mi stendo e riposo.
poco.
l'odore ritorna
con il dissapore.
il fascino
discreto
delle puzze.

venerdì 22 maggio 2009

Bravo Bambino


ok ok,
prenderò tutte
le mie medicine
e andrò
a letto
da bravo bambino.
dammi quella rossa
e due di quella blù,
dormirò sereno
non romperò il cazzo
a nessuno.
ma nel mio letto
freddo cadavere,
io e te lo sappiamo
che buono non lo sarò mai
per sfiga o
per fortuna.
solo non voglio che mi leghino,
niente camicie di forza,
prenderò le mie pillole
da bravo bambino.
datemi la mia medicina,
datemi la mia medicina,
potrei uccidere
qualche civile
o farmi del male.
prenderò quelle pillole
quella verde
la mattina,
vedrò il mondo
di sghimbescio
e non darò
più fastidio
a nessuno.
quella verde la mattina
la plume de ma tante
la plume de ma tante.
quella verde
la mattina.

Pugni
nel muro.
lasciano ombra di mie
nocche a memoria futura.
ho le mani dure
per il troppo picchiare
per il troppo bussare
a porte
che rimangono,
sempre,
chiuse.
ma io insisto
e picchio,
picchio duro,
non saranno
i calli
a farmi smettere.
poi mi siedo.
e fumo.
10 minuti.
poi ritorno a bussare
al tuo portone.

NOTTE,
scendi su di
me
ma sii
lieve
come le carezze di mia
Madre.
I capitani coraggiosi
affondano
con la loro nave
ma la mia,
ancora,
non trova porto.
Preda delle alghe,
schiava del libeccio,
che non soffia.
la Polena
dorme e aspetta
sfinge muta
al mio cospetto.
Chi conosce la rotta
e dove vado?
le stelle
anche stanotte
non mi aiutano.
Nervo e vago.
che dio abbia pietà
di noi.
Di me.

giovedì 21 maggio 2009


Vorrei sapere
cosa nascondi
tra i capelli
quando la
mia mano
cerca un
sentiero
tra di loro.
Vorrei sapere
cosa c'è
tra i tuoi seni
che mi rende
felice
quandi li
guardo.
Vorrei poter
vedere
la profondità
rosa
che mi accoglie
calda.
la curva dei tuoi fianchi
è un' onda
che mi sommerge
tenero surfista,
di emozioni.

Tutto bene
ora
le tempie
hanno smesso di mandare messaggi
BUM-BUM!
Vedo tutto più chiaro adesso
che la nebbia
non c'è
più.
Tentare di sailre
può essere
pericoloso
e tentare
di scivolare
giù,
scandaloso.
Perchè io so
e tu sai,
che la tua vita
non è tua quasi mai.
non ci provo
nemmeno
a fermare
il mio dubbioso cervello
che continua a chiedersi perchè,
meravigliato

venerdì 15 maggio 2009

POCA COSA


poca cosa
voglio diventare.
polvere
da worwerk folletto.
cenere
che la badante ucraina
ubriaca
nasconda
sotto il tappeto.
invisibile ai più.
parto 
per l'isola del tesoro
che tesoro
non è.
basta,
che ci sto a fare?
seduto
sdraiato
od in piedi
non fa differenza.
mondo malato
di febbre suina.
cosa c'entro io 
con tutto questo?
se penso
a tutti quelli
morti
per un ideale
li coccolerei
come una 
madre saggia.
e li cullerei
per sempre
con una dolcissima
ninnananna